Originally published on 12/05/2020
Riflessioni sulla Storia (della nascita ed evoluzione) delle Storie
C’era una volta, un giorno di non molto tempo fa, qualcuno che, stropicciando il proprio cuscino dopo essersi risvegliato da un sonno abbastanza irrequieto, pensò: “Posso ricordare i miei sogni molto distintamente. E allora, parallelamente, perché tutte le varie fantasie, i racconti, le storie e le narrazioni restano saldamente impressi nella mia memoria, ma questo non succede mai con altre informazioni di tipo generico?”.
Ecco, fu più o meno (non proprio) così che – in un certo senso – nel linguaggio del marketing contemporaneo cominciò a delinearsi un nuovo termine, iniziando a prendere lentamente forma nella mente degli imprenditori e professionisti delle vendite: stiamo parlando dello Storytelling (o, più correttamente, del concetto di “storytelling” modernamente inteso).
Con questo termine, preso in prestito dalla lingua inglese ed entrato nell’uso comune anche in Italia, viene comunemente inteso l’utilizzo di tecniche di marketing capaci di creare interesse attorno a un brand, prodotto o servizio, esaltandone – attraverso contenuti multimediali – la storia legata alla sua tradizione, nascita e sviluppo, oppure agli aneddoti e curiosità che possono riferirsi al contesto territoriale, alle risorse umane, ai processi produttivi, alle particolarità di un prodotto rapportate al contesto sociale.
L’esempio più banale per un fornitore di prodotti in materiale plastico potrebbe essere, ad esempio, un video in grado di raccontare nei dettagli la fase produttiva in cui la materia prima viene modellata per assumere una nuova forma, trasformandosi in vari oggetti di uso comune. Seguito da un altro video, o breve intervista, con il direttore della produzione, o una foto della manodopera al lavoro e una comparazione tra “prima” e “dopo” per la finalizzazione del prodotto.
Lo Storytelling aziendale si focalizza principalmente su un obiettivo: quello di suscitare emozioni nei potenziali clienti, veicolando contestualmente messaggi di tipo pubblicitario. Attenzione però: non stiamo parlando di una comunicazione fredda e asettica, ma di una serie di contenuti narravitivi strutturati e coerenti, che mettono direttamente in contatto il consumatore-destinatario con il brand-autore, invitandolo a riflettere e ad approfondire la “storia” dietro il “prodotto” dopo aver generato curiosità. Un po’ come se facessero quattro chiacchiere al bar.
Per questo, il linguaggio destinato al pubblico è principalmente di tipo emozionale, e fa leva sul coinvolgimento emotivo dell’utente dopo averlo fatto immedesimare, almeno per qualche secondo, nella situazione raccontata. E questa non è mica una novità! Esprimere un concetto, rendendolo anche nella forma di narrazione, ricordo o esempio pratico è quanto di più spontaneo possa avvenire in uno scambio tra due o più individui.
A cosa ci riferiamo, quindi, quando parliamo di (Digital) Storytelling? Nel suo significato più letterale, il “raccontar storie” dev’essere considerato come una delle attività intellettive più antiche del mondo.
Come funzionava lo Storytelling nella cultura condivisa antica
Ecco alcuni concetti da ricordare:
- Trasmissione orale (a voce, e a memoria)
- Esempi universali (e comprensibili da tutti)
- Ammonimenti con ricompense e punizioni
Come già ricorderete, opere come l’Iliade e l’Odissea non sono altro che la trasposizione, in forma scritta, di molteplici racconti e leggende tramandati in forma orale agli ascoltatori più o meno nonili, in cerca di notizie da terre lontane. La trasmissione orale di esempi e conoscenze condivise ha sempre bisogno di eroi o concetti efficaci e semplici da ricordare.
Passiamo alle favole e fiabe. Entrambe contengono esempi basati su:
1. ricompense (“e vissero tutti felici e contenti”); o
2. ammonimenti (“e quella fu l’ultima volta che…).
Molte fiabe e racconti venivano trasmessi di generazione in generazione per istituire codici comportamentali, far comprendere i rischi derivanti da scelte sbagliate, esaltare il coraggio di chi supera le difficoltà agendo nel modo giusto. Memorie condivise di generazioni hanno poi assorbito, trascritto e rimaneggiato queste conoscenze.
Cosa cambia quando il “raccontar storie” viene usato fuori contesto
Raccontare una storia per un brand o un committente (pensiamo ai “ghost writers” delle case editrici, o ai copywriter nelle aziende) è tutt’altra cosa. Anche se il focus dell’azione commerciale si sposta sui protagonisti (i consumatori o clienti), l’obiettivo resta sempre il prodotto o servizio da vendere. Lo Storytelling perde fascino, anche se piace di più rispetto ad una strategia di vendita tradizionale. Qui, la cultura condivisa da trasmettere è, principalmente, quella del brand e del prodotto/servizio di punta.
Lo Storytelling in ambito aziendale esisteva già, in effetti, prima che l’attenzione si focalizzasse solo sul mondo digital. Pensiamo agli spot televisivi della Coca-Cola o della Nutella (famiglie che festeggiano con panini alla nutella e candeline, Babbo Natale che porta doni e sorseggia Coca-Cola).
Di recente, insieme alle “web series” create da Algida e tante altre aziende, sono arrivate le “pubblicità a puntate” che possiamo trovare in tv e online. Il primo spot dà il via ad una serie di spot successivi che, trasmessi a intervalli prestabiliti, racconteranno una storia fino alla conclusione, con relativo invito all’acquisto. Perché, ormai, gli spot non sono più solo televisivi, ma s’intrecciano con il cinema e le serie tv.
Sono, questi, “racconti” di cui l’ascoltatore conosce già lo scopo, con l’unica incognita di divertirsi o perdere subito interesse. Non è uno Storytelling didattico, istruttivo o sociale: è un “raccontar storie” spesso pensato per i momenti di svago. Proprio come il cinema e le tv on demand.
Perché si usa lo Storytelling nel marketing?
Ricordate l’ignaro sognatore di cui abbiamo già parlato? Riusciva a ricordare bene ciò che ha a che fare con l’irrazionale – immaginazione, storielle, sogni – ma non informazioni di carattere “tecnico” o di tipo generico. Perché poco interessanti ed escluse dalla sua memoria, esercitata a ricordare ciò che può essere utile in termini generali, ma non i dettagli specifici che sono sempre troppi. Ecco la ragione per cui il marketing ha “scoperto” lo storytelling: le storie hanno qualcosa di ancestrale che stimola la curiosità e la memoria, pur essendo troppo artefatte fuori contesto (cioè, in un contesto di vendita).
Questo è giusto ragionando sia in termini economici, che di rispetto verso i clienti o consumatori, che poi sarebbero persone-uditori, fruitori di storie? Potremo riparlarne solo tra qualche anno, o comunque… In un prossimo post.