Intervista #03

La collaborazione fa la differenza


Originariamente pubblicato nel: 2012


Scheda del Lettore

Per la presentazione della nostra terza lettrice (@michelalai sui social) ho deciso di fare uno strappo alla regola: sarà lei stessa a presentarsi. Ecco, quindi, la sua biografia: 

“Ho 35 anni e sono nata in Sardegna, dove vivo tuttora – in un paesino dell’Ogliastra, nella parte est dell’isola. Dopo la maturità scientifica ho pensato diverse volte di frequentare l’università, ma ad oggi è ancora solo un’idea … non si sa mai! Dimenticavo: adoro leggere fin da quando ero bambina e i libri mi affascinano, se è possibile, anche da prima.” 


Oggi parliamo di:

Cecità – José Samarago


Se avessi dovuto raccontare la stessa vicenda, in quale emisfero, regione, nazione o città l’avresti ambientata? Spiegaci perché.

Il bello, e una delle particolarità, di questa storia è proprio il fatto che è ambientata in una città che può essere collocata ovunque, senza limiti geografici, sociali o politici. Questo tipo di ambientazione permette di affrontare la lettura del libro concentrandosi esclusivamente sulle vicende narrate più che sul contesto in sé. La storia, in questo modo, acquista un significato universale ed è molto più facile identificarsi in essa. Cercare una collocazione geografica è assolutamente superfluo.

L’autore lascia intravedere un barlume di speranza. In particolare, la moglie del medico è l’unica non cieca. Perché, secondo te?

La moglie del medico è l’unica protagonista a non venir contagiata dalla “cecità bianca” e questo certamente è un fatto che genera speranza, però bisogna anche ricordare e sottolineare che ad un certo punto anche lei si comporta come tutti gli altri ciechi, si uniforma al degrado che dilaga intorno a lei, quasi fosse una forza insita nell’essere umano, troppo forte da contrastare. Forse più che una figura atta ad infondere speranza si tratta in realtà semplicemente di un testimone, l’unico vero testimone oculare della violenza e della bruttezza alla quale la società arriva per riuscire a sopravvivere  a questa terribile ed insolita epidemia.

Perché i ciechi in questo romanzo “vedono bianco”? Cosa significa questo colore?

Il bianco è da sempre un colore che viene associato alla purezza e per i credenti alla via che conduce al paradiso, ipotesi abbastanza plausibile visto che Saramago era notoriamente ateo. Forse, il suo intento era proprio quello di usare la metafora del bianco luminoso come passaggio da una vita all’altra, ma mentre per i credenti dopo la luce si ha accesso ad una vita migliore nel suo libro il genere umano, per natura corrotto e violento, non riesce a sfruttare al meglio questa nuova opportunità di vita.
O forse, più banalmente, è solo un modo per contrapporsi alla normale cecità, nella quale si vede tutto nero.

Come ti sembra lo stile e il modo in cui vengono introdotti i dialoghi?

Lo stile è geniale e per niente banale. La lettura è scorrevole, e non risente minimamente della mancanza delle pause tra un discorso  e l’altro. Nel libro non esistono nomi propri; i dialoghi vengono riportati in prima persona senza punteggiatura, sono presenti solo le virgole e i punti, e i capitoli non sono numerati. Quando ho deciso di leggerlo non ero a conoscenza di queste particolarità stilistiche, ma devo dire che mi sono adattata immediatamente, e anzi il libro acquista maggiore pregio.

Inizialmente, i ciechi sono quelli nell’ex manicomio. Secondo te, l’autore ha voluto etichettare l’umanità come “folle” nella sua cieca crudeltà? E non c’è nessun cieco che si salvi dalla pazzia collettiva?

I manicomi erano quei dei luoghi dove i “diversi” venivano letteralmente incarcerati dentro quattro mura. All’interno del manicomio la barbarie umana raggiunge limiti impensabili per quelle persone che fino a qualche giorno prima conducevano una vita rispettabile. I manicomi, in generale, rappresentano quei posti dove non è possibile progredire, ma al contrario si retrocede inesorabilmente. Erano luoghi di follia, ma la follia ha molteplici facce e prolifera in ogni luogo come dimostra la realtà e come viene narrato anche nel libro. Nella storia, diversi personaggi cercano di non soccombere alla follia collettiva e di mantenere la mente lucida e razionale, il loro intento però è principalmente quello di sopravvivere in attesa che la loro condizione cambi. Quasi alla fine del libro, invece, ci viene presentato un personaggio che non solo cerca come tutti di sopravvivere, ma cerca di VIVERE, ha uno scopo, una meta, un progetto per il futuro, è lo scrittore. Nonostante sia cieco come tutti gli altri cerca, in modo molto commovente, di riportare sulla carta tutto quello che riesce a percepire della nuova vita, capisce l’enorme importanza di far conoscere e tramandare gli eventi, perché conoscere rende liberi, perché senza conoscenza non c’è futuro.

Secondo te, esistono ciechi più “non-vedenti” degli altri?

In una società ognuno ha le proprie responsabilità, dallo studente alla casalinga, arrivando ovviamente ai vertici del potere. Chi siede nella “stanza dei bottoni” ha certamente una responsabilità maggiore, ma questo non giustifica e non sminuisce il comportamento dei semplici cittadini. Con una guida decisa, sicura ed onesta i danni sarebbero stati limitati e non devastanti come sono stati narrati, ma forse si tratta di un passaggio necessario, in fondo è dal caos che nasce l’ordine. Ci sono ciechi più non vedenti di altri, e sono quelle persone che hanno perso la capacità di vedere non solo con gli occhi, ma soprattutto con la mente e con il cuore.

Nel complesso, perché hai apprezzato questo romanzo e perché l’hai scelto?

Questo libro mi ha letteralmente travolta. Era da tempo che volevo leggere qualcosa di Saramago e la scelta è ricaduta su Cecità, inizialmente per la trama, ma anche a causa, e per merito, di alcune recensioni contrastanti. Nonostante la storia in sé sia assolutamente inverosimile, il messaggio che vuole trasmettere e l’analisi spietata della società sono non solo credibili, ma facilmente riscontrabili nella storia del genere umano e pertanto corrispondenti al vero. È stato uno di quei libri che non si leggono solo con gli occhi.

Perché il “primo cieco” si ammala mentre è fermo al semaforo? Esprimi alcune considerazioni.

In effetti, si tratta di un inizio abbastanza curioso, apparentemente banale, infatti stare in coda ad un semaforo è una condizione piuttosto comune a tutti noi. Chi vive in una città si trova in questa situazione più e più volte nell’arco di una sola giornata, e quando accade la nostra attenzione è incentrata su quella sfera rossa, la osserviamo quasi ipnotizzati in trepida attesa del cambio di colore e quando avviene siamo pronti e scattanti ad andare avanti per la nostra strada. E se non fosse possibile andare avanti? Se quel semaforo fosse la possibilità di un nuovo inizio? Se quel verde non arrivasse mai, o volesse significare qualcosa in più di un semplice “via libera”? Non so rispondere a queste domande, ma dopo aver letto il libro, l’esperienza davanti ad un semaforo ha acquistato un diverso significato e valore, un’occasione in più per riflettere e per non dare per scontate tutte le conquiste della società moderna. Con la consapevolezza che individualmente non si va da nessuna parte: la collaborazione e l’unione fanno la forza e la differenza!


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Hai già letto questo libro? Quanto ti è piaciuto?

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